Le Pubbliche Assistenze nel regime fascista
Con decreto reale, su proposta del Ministro per l’interno, furono sciolte le associazioni di assistenza non ancora erette in ente morale e furono destinate le loro attività patrimoniali alla Croce Rossa. In sostanza il decreto sanciva lo scioglimento delle associazioni di pubblica assistenza prive di riconoscimento giuridico e stabiliva il trasferimento delle loro attività e dei loro beni alla Croce Rossa. Per il movimento associativo che aveva mosso i primi passi a La Spezia nel 1892 fu un colpo mortale: la maggior parte dei sodalizi, infatti, non era eretta in ente morale e fu condannata quindi ad essere assorbita dalla Croce rossa o da altre tipologie assistenziali del regime.
Né approdò ad alcun risultato il raduno nazionale che le pubbliche assistenze organizzarono a Montevarchi nel 1931 per protestare contro tale provvedimento.
Infatti, la Federazione, che pure aveva ottenuto il riconoscimento giuridico da ben 22 anni, venne disciolta. Col passaggio del fronte e la graduale liberazione della Penisola, numerose associazioni di pubblica assistenza che erano state inglobate dalla Croce rossa o dalle organizzazioni fasciste tornarono a condurre un’esistenza autonoma. I dirigenti più compromessi col regime vennero allontanati e sostituiti da nuovi e vecchi soci, che anzitutto ripristinarono le regole di democrazia interna e quindi cercarono di rilanciare l’attività dei sodalizi.
Fonte: I volontari del soccorso (Fulvio Conti)
Il fascismo pose fine di fatto alle Pubbliche assistenze, decretandone lo scioglimento nel 1930 e privandole dei loro beni. Queste associazioni rappresentavano l’antitesi degli interessi a cui si riferiva il regime, in quanto portatori di valori che partivano da uomini comuni uniti dagli stessi principi ed ideali di solidarietà.
Il 25 Aprile sancì dunque anche la rinascita delle Pubbliche Assistenze.